e tu, non ridere.


Se il vero è questo nostro tempo da dimenticare
a volte viene in mente che è meglio vivere d'amore.
Avevo un gran timore di non capir più niente del sentimento umano
ma dopo poche ore avevo lei per mano.
Era di primavera, non mi ricordo il mese e neanche l'anno
vidi la gioia fermarsi e farmi un cenno.

Inadeguatamente mi abbandono a questa dolce sconosciuta
l'unica degna di ossessionare la mia vita.
Poi tolgo il cuore dal suo corpo tenue di fanciulla
ma per giocare come un bambino con la palla.

E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è questo assalto di dolci confusioni.

Così stupita guardava il cielo, il bello, i criminali
ma senza impegno, come fanno le piante e gli animali.
Era persino troppo emozionante per chi allena il suo cuore
coi bei concerti, i discorsi importanti e le letture.
Si camminava casti per la strada o in riva al mare
come due innamorati della Cina Popolare.

E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è quest'assalto di dolci confusioni.

In una notte calda, piena di abbandono e di tremore
come si suole fare, abbiamo fatto l'amore.
Poi tutt'a un tratto ho visto nei suoi occhi un velo di malinconia
e stranamente, senza dire niente, se n'è andata via.
La luce mia si è spenta e piano piano mi sto spegnendo anch'io
ora è silenzio, nirvana, pace e notte... oblio.

E tu non ridere mio dolce amico
non ti stupire di questa storia mai esistita
si può anche vivere senza capire
se il vero è il sogno o il resto della vita.

(Giorgio Gaber)

lunedì 10 maggio 2010

Solo certi poeti del male mi sanno cantare.


Roma non sa che fare: si limita a stare lì, imponente grigia, tra la pioggia promessa e il sole apparente. È come se aspettasse il segnale per esplodere, un qualsiasi, dimesso cenno per urlare quanto sia viva, nei colori del lungotevere, ancora. Assenzio, birra, risate e sigarette appena accese: in fondo c’è poco da raccontare quando puoi sentirne il profumo.

Mi piacerebbe fotografare per te quei colori velati di grigio, imbottigliare quegli odori dietro un tappo di sughero… regalarteli, se un giorno avrai bisogno di me. Raccontami di Budapest o Ginevra. Com’era quando non c’ero? Erano belle come le volevi, o ti hanno deluso come me?

Non preoccuparti di niente: tutto ti ha aspettato, annoiandosi a morte. Mi piace ancora mangiare, fumare di nascosto, fingere di essere indifferente alla tua voce.

Bentornati, colori.

Roma, tocca a te.

[Ma vi perdono, perché in fondo portate nel cuore sangue che è destinato a seccare.]

4 commenti:

  1. Tiro a forza un sospiro.. dopo aver letto tutto d'un fiato questo post. Ripercorro con te ogni cosa. Mi pare quasi di aver già vissuto o di dover ancora vivere ciò che racconti.

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