Le parole non sono granchè, a volte.
Sono più bravi i colori e gli odori a spiegarti cosa significa, ma in qualche modo devo tirare fuori quella quantità di amore che da stasera non saprò più dove mettere, fisicamente e quotidianamente.
Oggi ERA il 24 Novembre.
E’ stato un giovedì, uno di quelli che sta lì in mezzo solo a romperti le palle perché è lungo, e lento, e tutto uguale.
Di fatto stavo aspettando.
Erano giorni che vedevo l’ombra fuori dalla porta di casa.
Anzi, più che vederla, la sentivo: colora le pareti di grigio e il silenzio di strazio.
Lei è molto paziente. Sta lì e aspetta, perché il suo turno è stato scritto e deciso nel momento in cui sei nato.
Aspetta tutti, prima o poi.
E’ stato un giovedì di televisione. Tanta televisione.
Anche senza volume, come fanno i vecchi.
Poi il telefono ha suonato.
Un pianto lento nel salone. E poi un turbine incasinato di macchine, freddo, luci bianche:
la porta si è aperta, e la signora vestita di nero ha timbrato il cartellino.
Oggi E’ il 25 Novembre.
Dopo 14 anni passerò il mio primo Natale senza quella meravigliosa palla di pelo che pretendeva di infilarsi in tutte le buste dei regali.
Sei stato la cosa più bella e più dolce che potessi desiderare.
Compagno di divano/studio/pranzi/cene/tutto.
Ti devo molto, piccolo mio.
Dormi sereno.