e tu, non ridere.


Se il vero è questo nostro tempo da dimenticare
a volte viene in mente che è meglio vivere d'amore.
Avevo un gran timore di non capir più niente del sentimento umano
ma dopo poche ore avevo lei per mano.
Era di primavera, non mi ricordo il mese e neanche l'anno
vidi la gioia fermarsi e farmi un cenno.

Inadeguatamente mi abbandono a questa dolce sconosciuta
l'unica degna di ossessionare la mia vita.
Poi tolgo il cuore dal suo corpo tenue di fanciulla
ma per giocare come un bambino con la palla.

E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è questo assalto di dolci confusioni.

Così stupita guardava il cielo, il bello, i criminali
ma senza impegno, come fanno le piante e gli animali.
Era persino troppo emozionante per chi allena il suo cuore
coi bei concerti, i discorsi importanti e le letture.
Si camminava casti per la strada o in riva al mare
come due innamorati della Cina Popolare.

E tu non ridere mio dolce amico
non dare ascolto alle mie stupide emozioni
e tu non ridere che in fondo il mondo
è quest'assalto di dolci confusioni.

In una notte calda, piena di abbandono e di tremore
come si suole fare, abbiamo fatto l'amore.
Poi tutt'a un tratto ho visto nei suoi occhi un velo di malinconia
e stranamente, senza dire niente, se n'è andata via.
La luce mia si è spenta e piano piano mi sto spegnendo anch'io
ora è silenzio, nirvana, pace e notte... oblio.

E tu non ridere mio dolce amico
non ti stupire di questa storia mai esistita
si può anche vivere senza capire
se il vero è il sogno o il resto della vita.

(Giorgio Gaber)

martedì 13 dicembre 2011

Ti odio.

Non riesco a scrivere.

domenica 4 dicembre 2011

Voltati.



Il cielo era grigio ma il freddo ci aveva dato tregua.


Metto in moto e giro il volante, scivolando sull’asfalto massacrato; la radio mi aiuta con degli ottimi Cure, che sotto le prime luci di natale stanno fottutamente bene.

Mi bruciano le labbra e gli occhi si gonfiano un po’.

Mi passa dentro tutto quello che non ho voluto raccontare negli ultimi mesi, forse anni, e il gonfiore degli occhi si sparge alla fronte, alla bocca e alla gola.

Sfrecciano ombre e marciapiedi lucidi dalla pioggia, mentre rallento e mi passo una mano sul viso. Le luci sembrano immense attraverso le lacrime.

Penso che avrei bisogno di parlare a catena per venti minuti, in un flusso di coscienza che non perdona me in primis, o almeno avrei bisogno di scrivere.

Datemi da scrivere.

Qualcuno scriva quello che dico.

Finiscono le note di una ballata, lenta e dolcissima.

Abbasso il volume e mi tengo stretta in testa quella musica.

Giro dove non dovrei, perchè c’è solo un posto dove riesco a tenermi stretta le cose.

Ricordo che proprio lì mi fu giurato l’amore per sempre, in un’età in cui ancora vuoi crederci:

mi regalò una rosa e mi indicò Roma, che dormiva languida e meravigliosa sotto di noi.

Ora sono di nuovo quassù, perché solo qui riesco a farmi mangiare dalle cose.

Davanti alla città eterna mi faccio inondare dalle cose, senza lottare, senza dirmi che non è amore, senza dirmi che in fondo presto passerà.

Sì.

Prendimi dolore, e fa di me ciò che vuoi;

quando avrai finito, sarò pronta a ricominciare.

Guardo il sole che sale lento e il vento mi taglia la faccia bagnata:

il gonfiore alla gola era sparito e il tuo orologio mi ricorda che è quasi ora di alzarsi.

Le labbra però non hanno mai smesso di bruciare.